Il lattosio è lo zucchero contenuto in latte e latticini e deve essere digerito in glucosio e galattosio da un enzima, chiamato lattasi, per essere assorbito nell’intestino. Alla nascita i livelli di espressione della lattasi sono molto elevati per permettere al neonato di utilizzare a scopo energetico il lattosio contenuto nel latte materno. Dallo svezzamento in avanti si assiste a una graduale diminuzione della trascrizione di questo gene che si associa inevitabilmente a una riduzione dell’attività enzimatica della lattasi. L’intolleranza al lattosio è dovuta alla mancanza di questo enzima che comporta una cattiva digestione del lattosio.
Dal punto di vista evolutivo è facile comprendere perché i mammiferi perdano la capacità di digerire il lattosio in età adulta benché nella specie umana si assista in diverse popolazioni alla persistenza della lattasi anche dopo lo svezzamento come adattamento all’allevamento degli animali da latte iniziato più di 10.000 anni fa. L’evoluzione ha portato alla selezione di individui che continuano a esprimere il gene della lattasi ben oltre l’età infantile e che quindi possono consumare con serenità e vantaggio tutti i prodotti lattiero caseari senza nessuna delle controindicazioni dovute alla presenza di lattosio.
L’intolleranza al lattosio è generalmente più diffusa nella popolazione orientale e africana, mentre gli europei continuano spesso a esprimere la lattasi anche in età adulta. Ad esempio, nella popolazione italiana la prevalenza di intolleranza al lattosio si aggira intorno al 40% con un’incidenza maggiore nelle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali.
Nella popolazione italiana la prevalenza di intolleranza al lattosio si aggira intorno al 40% con un’incidenza maggiore nelle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali.
Il sintomo principale dell’intolleranza al lattosio è il gonfiore addominale, associato a crampi, flatulenza e dissenteria. Questi disturbi compaiono in genere da mezzora a due ore dopo il pasto e si manifestano evidentemente solo dopo l’ingestione di alimenti che contengono questo zucchero. Il lattosio per essere assorbito deve essere prima di tutto essere digerito. Se rimane nel lume intestinale il lattosio viene facilmente fermentato dalla flora batterica con la produzione di gas, senza contare che non essendo assorbito richiama acqua per effetto osmotico, comportandosi esattamente come una purga.
La gravità dei sintomi è dose-dipendente e la maggior parte delle persone intolleranti può permettersi l’assunzione di una piccola quantità di lattosio senza particolari effetti negativi. Ad esempio, la maggior parte delle persone intolleranti al lattosio non presenta sintomi particolari con i formaggi più stagionati perché, semplicemente, contengono meno lattosio rispetto al latte e ai latticini freschi.
La diagnosi dell’intolleranza al lattosio si basa sull’effettuazione di un breath test all’idrogeno dopo somministrazione di lattosio per via orale. È un test poco invasivo, non costoso e facilmente realizzabile. Si somministra per via orale del lattosio e si raccolgono campioni di aria espirata ogni 30 minuti per 3-4 ore. Il lattosio non assorbito raggiunge il colon ed è metabolizzato dalla flora batterica con produzione di idrogeno, che in parte è escreto dal polmone. Il test è positivo quando il livello di idrogeno nell’aria espirata supera di almeno 20 ppm i valori di base. Valutando anche i sintomi presenti durante l’esecuzione del test, il breath test ha una buona specificità e sensibilità.
Il gold standard per la diagnosi dell’intolleranza al lattosio è il breath test all’idrogeno dopo somministrazione di lattosio per via orale.
Diversamente, il test genetico per l’intolleranza al lattosio, che valuta il polimorfismo C/T posizionato 13910 basi a monte del gene LCT codificante per la lattasi e localizzato sul cromosoma 2, è utile solo per un approfondimento e deve essere sempre affiancato al breath test. Avere una predisposizione alla non persistenza dell’espressione della lattasi in età adulta non vuol dire automaticamente che la produzione di questo enzima sia deficitaria.
Sul piano pratico, il trattamento dell’intolleranza al lattosio si basa principalmente su una minor assunzione di alimenti ricchi di questo zucchero. La dose minima tollerata varia da persona a persona e può dipendere da diverse fattori: ad esempio se l’intestino è già irritato i sintomi da deficit della lattasi possono essere più intensi e presentarsi all’assunzione di quantità anche molto piccole di lattosio. In commercio è facile recuperare latte e latticini privi di lattosio, ottenuti attraverso un processo di idrolisi enzimatica di questo zucchero, che non comportano problemi per gli intolleranti.
Il trattamento dell’intolleranza al lattosio si basa principalmente su una minor assunzione di alimenti ricchi di questo zucchero e sull’integrazione di lattasi prima di un pasto che potrebbe contenere del lattosio.
In alternativa è possibile sopperire alla carenza enzimatica assumendo la lattasi prima di un pasto in cui si prevede di ingerire del lattosio. La posologia deve essere adattata caso per caso in funzione della gravità dei sintomi dovuti all’intolleranza al lattosio e alla quantità di lattosio ingerito. Solitamente si prevede l’assunzione di circa 2000 UI di lattasi per ogni 5 grammi di lattosio ingerito che corrispondente indicativamente alla quantità di lattosio contenuta in circa 100 ml di latte.