L’intessere che la comunità scientifica e i medici stanno dedicando alla Vitamina D è assolutamente giustificato dal numero crescente di lavori scientifici che testimoniamo il ruolo biologico di questa vitamina liposolubile nella regolazione di un gran numero di processi fisiologici.
A tal proposito, sempre più studi correlano una carenza di Vitamina D a patologie di tutti i tipi: dall’osteoporosi al rachitismo, dalle allergie alla sindrome metabolica, dalle malattie autoimmuni fino anche alle patologie tumorali. Basti pensare che in letteratura scientifica sono rintracciabili quasi 85.000 articoli dedicati proprio a questa vitamina, quasi 5.000 solo nel 2019.
Il dosaggio ematico della Vitamina D3, chiamata anche 25-(OH)-colecalciferolo, è suggerito come screening in tutti i soggetti che vivono oltre 40° parallelo. Se pensiamo all’Italia, questo vuol dire che da Napoli in su, il dosaggio di questa vitamina dovrebbe essere inserito tra gli esami di routine da ripetere con cadenza regolare.
Questa particolarità dipende dal fatto che questa vitamina liposolubile, oltre a essere presente in alcuni alimenti come il pesce grasso, le uova, il latte e i suoi derivati, viene sintetizzata a livello della pelle grazie all’aiuto dei raggi solari la cui intensità dipende, evidentemente, anche dalla latitudine. Così la produzione di Vitamina D risulta spesso insufficiente nei mesi invernali oltre il 40° parallelo.
La Vitamina D è quindi una vitamina atipica e i suoi livelli ematici subiscono fisiologicamente una variazione durante il corso dell’anno, proprio perché viene prodotta anche a livello della pelle grazie all’energia del sole. Avere bassi livelli di questa vitamina alla fine dell’inverno è per certi versi meno problematico che avere gli stessi bassi livelli alla fine dell’estate.
Con l’esposizione al sole, soprattutto dopo una vacanza al mare, i livelli di vitamina D risultano essere significativamente più alti. Alcuni studi hanno ipotizzato che il benessere di una prolungata esposizione solare derivi, almeno in parte, da una maggior sintesi di questa vitamina.
Ma quanti minuti di sole sono necessari per soddisfare il fabbisogno giornaliero di questa vitamina? Prendo spunto da un interessante lavoro scientifico pubblicato nel 2017 sulla rivista Science of the Total Environment da un gruppo di ricerca spagnolo condotto nella città di Valencia che cade approssimativamente intorno al 40° parallelo (Serrano, M.-A. Et al., Solar ultraviolet doses and vitamin D in a northern mid-latitude. Sci. Total Environ. 2017, 574, 744–750).
A questa latitudine, considerando 1000 UI come il fabbisogno giornaliero di Vitamina D e immaginando di prendere il sole nelle ore più calde della giornata il tempo necessario a raggiungere i livelli raccomandati di questa vitamina variano in relazione alla stagione. In primavera sono necessari poco più di 10 minuti di sole per coprire le necessità giornaliere di questa vitamina, mentre in estate sono sufficienti appena 7 minuti per produrre a livello della pelle 1000 UI di Vitamina D. Le cose cambiano in autunno, quando serve esporsi al sole per oltre mezzora per poter soddisfare i fabbisogni dell’organismo per non parlare dell’inverno, quando sono necessarie più di 2 ore per raggiungere livelli adeguati di produzione di questa vitamina.
Per coprire le necessità giornaliere di questa vitamina in primavera sono necessari poco più di 10 minuti di sole, in estate ne servono appena 7, mentre in autunno occorre esporsi al sole per oltre mezzora, per non parlare dell’inverno in cui sono necessarie più di 2 ore di sole.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è l’uso di creme protettive che, da un lato, sono importantissime per proteggere la pelle dalle scottature, ma, dall’altro, può ridurre la produzione di vitamina D.
Fortunatamente, il sole non è l’unico modo per avere buoni livelli di vitamina D: ad esempio, popolazioni che non si espongono mai al sole come gli Eschimesi non risultano avere livelli nel sangue di Vitamina D più bassi rispetto ad altre popolazioni grazie al loro grande consumo di pesce grasso.
In ogni caso, la vitamina D andrebbe integrata quando i valori ematici scendono sotto 30 ng/ml o quando alla porte dell’inverno un soggetto sia troppo vicino a questo limite.
La vitamina D andrebbe integrata quando i valori ematici scendono sotto 30 ng/ml o quando alla porte dell’inverno un soggetto sia troppo vicino a questo limite.
A tal propositivo, si sta ancora discutendo su quanta vitamina D sia necessario integrare. Un livello di integrazione generalmente accettato è di 1000 UI al giorno. Questo dosaggio deve essere commisurato in base ai livelli ematici di questa vitamina e alla presenza di fattori di rischio, primo fra tutti l’osteoporosi.
In ambito clinico sono presenti due diverse modalità di assunzione di questa vitamina. Una che prevede una singola assunzione settimanale, bisettimanale o mensiele e una seconda, a mio giudizio più rispettosa delle fisiologiche modalità di assorbimento di questa vitamina, che prevede un’integrazione quotidiana.
Entrambe le modalità di assunzione hanno vantaggi e svantaggi. Una singola assunzione favorisce in molti casi l’aderenza alla terapia, ma allo stesso tempo bisogna considerare che sul piano alimentare non esistono cibi che permettono di assumere in un singolo pasto dosi così elevate di questa vitamina. Considerando che la Vitamina D svolge a tutti gli effetti anche una funzione ormonale non è chiaro come possa rispondere l’organismo a un dosaggio molto alto di questa vitamina.
Altro aspetto da tenere in considerazione è quando assumere questa vitamina che è liposolubile e quindi si scioglie nei grassi. La forma migliore di somministrazione di vitamina D è quella liquida. Molti integratori di vitamina D si presentano come soluzioni oleose che devono essere assunte durante un pasto in cui siamo presenti altri grassi in modo da favorirne l’assorbimento.
Per finire, spesso si suggerisce di abbinare alla Vitamina D anche la Vitamina K con l’idea che questo permetta di veicolare più facilmente il calcio verso le ossa evitando che si depositi in altri tessuti e soprattutto a livello delle arterie. Effettivamente molti studi confermano l’importanza di abbinare queste vitamine confermando il ruolo della Vitamina K nella corretta sintesi di molte proteine caratterizzate dalla capacità di legale il calcio. Quello su cui si sta ancora discutendo è se sia necessario o meno integrare la vitamina K: una carenza di questa vitamina è molto improbabile nella popolazione adulta perché la Vitamina K è presente in maniera diffuso nei cibi oltre ad essere sintetizzata anche dalla flora batterica intestinale. Proprio per questo a meno di terapia antibiotiche insensate o di condizioni che limitino di molto l’assorbimento dei grassi, come potrebbe essere la celiachia, una sua carenza è un’eventualità rara.