Fagioli, ceci, fave, lenticchie, soia, lupini, cicerchie, ma anche le arachidi e i piselli (esatto, i piselli non sono verdure). I legumi sono inestimabili per la nostra salute. Ad esempio, un’interessante meta-analisi pubblicata su Public Health Nutrition nel 2017 da un gruppo di ricercatori italiani ha dimostrato come il consumo di almeno quattro porzioni di legumi a settimana abbia un potete effetto di riduzione del rischio cardiovascolare (Marventano S et al. Public Health Nutr. 2017 Feb; 20(2):245-254).
Ma come inserire i legumi nella propria alimentazione?
Nel settembre del 2011 la Harvard Medical School di Boston ha pubblicato le indicazioni per la composizione di un pasto sano. Fino a quel momento le indicazioni nutrizionali erano organizzate in piramidi alimentari in cui venivano segnalate le frequenze settimanali per ogni categoria di alimenti. La base della piramide indicava gli alimenti che dovevano essere consumati con maggiore frequenza mentre la cima quelli che era preferibile consumare solo occasionalmente.
L’Healthy Eating Plate proposto dalla Harvard Medical School prevede un quarto del piatto destinato a cereali integrali come riso, pasta e pane integrali, ovvero la quota di carboidrati complessi da bilanciare con un altro quarto di alimenti proteici come pesce, carne bianca, legumi e semi oleosi – limitando la carne rossa ed evitando affettati e salumi per un corretto apporto di proteine sane.
L’altra metà del piatto va riempita di vegetali, con una prevalenza di verdure e una porzione di frutta, con l’accortezza aggiuntiva di scegliere ogni volta frutti di colore diverso. In stile molto americano, fa sorridere l’annotazione che le patate e le patatine fritte non rientrano nella metà del piatto dedicata alle verdure.
L’Healthy Eating Plate proposto dalla Harvard Medical School prevede un quarto del piatto destinato a cereali integrali da bilanciare con un altro quarto di alimenti proteici mentre l’altra metà del piatto va riempita di vegetali, con una prevalenza di verdure e una porzione di frutta. Per condire servono grassi sani come l’olio extravergine d’oliva mentre da bere meglio scegliere acqua, tè o caffè (questi ultimi senza zucchero).
Per condire servono grassi sani come l’olio extravergine d’oliva, mentre vanno limitati i grassi saturi come il burro ed evitati assolutamente gli acidi grassi transesterificati come le margarine. Da bere, meglio scegliere acqua, tè o caffè (questi ultimi senza zucchero) e limitare l’utilizzo di latte e succhi. Vietate le bibite gassate e bevande zuccherate.
Fino a qui tutto bene, anche se si rende necessaria una precisazione: se è vero che le leguminose possono rappresentare una buona fonte di proteine, a parte la soia che garantisce effettivamente un corretto apporto di proteine con un alto valore biologico, per lenticchie, fagioli, piselli, ceci e così via il discorso è un po’ diverso.
Prendiamo ad esempio le lenticchie (dopo la soia sono le leguminose con il più alto contenuto di proteine): rispetto al peso, apportano solo un 25% di proteine a cui corrisponde più del 50% di carboidrati, con un restante 25% da suddividere tra fibra (15% circa) e acqua.
Questi dati fanno riferimento ai legumi secchi mentre i valori della composizione nutrizionale cambiano decisamente dopo la cottura: per introdurre la quota di proteine garantita da 100 grammi di legumi secchi dovremmo mangiarne quasi quattro etti di legumi cotti.
Oltre tutto le proteine delle lenticchie hanno un basso valore biologico, cioè il rapporto tra i vari amminoacidi è diverso da quello delle proteine umane, con una carenza di aminoacidi essenziali. La differenza tra proteine animali e vegetali (ad esempio i legumi) è proprio nel fatto che le fonti animali apportano tutti gli aminoacidi, mentre i legumi scarseggiano di alcuni aminoacidi essenziali, come metionina e treonina, mentre i cereali sono carenti di triptofano e lisina.
Cosa succede con piatti della tradizione culinaria italiana come “pasta e fagioli” o “riso e piselli”?
L’abbinamento non è casuale perché i cereali inseriti in questi piatti hanno la funzione di compensare gli aminoacidi solforati mancanti nei legumi ottenendo così un pool aminoacidico più completo. Il problema è che il frumento integrale, sempre rispetto al peso secco, ha solo un 12% di proteine e più del 65% di carboidrati. Risulta così evidente che per mangiare proteine con un più alto valore biologico rischiamo di fare un pasto fortemente sbilanciato verso la quota di carboidrati.
La differenza tra proteine animali e vegetali è proprio nel fatto che le fonti animali apportano tutti gli aminoacidi, mentre i legumi scarseggiano di alcuni aminoacidi essenziali.
In conclusione, abbinare legumi a cereali integrali in modo da completare il profilo aminoacidico è sicuramente una valida strategia in chi fatica a mangiare proteine animali, tenendo presente che la quota di proteine rischia di essere comunque contenuta e decisamente inferiore a quella di carboidrati. Nel rispetto delle scelte alimentari di tutti, l’assunzione della corretta quota proteica quotidiana rimane una strategia per tutelare la nostra salute.
L’utilizzo dei legumi è certamente una sana abitudine ma nulla vieta di utilizzarli insieme a cereali integrali come una fonte prevalente di carboidrati e abbinandoli a proteine sane come pesce e uova, accompagnate da grassi buoni, frutta e verdura. Tutto sommato anche un piatto come “tonno e fagioli” può vantare un posto nelle abitudini alimentari degli italiani…