Le malattie cardiovascolari restano la principale causa di morte a livello globale, rappresentando un peso enorme non solo per chi ne soffre, ma anche per i sistemi sanitari e per la società nel suo insieme. Si stima che cinque fattori di rischio ben noti e modificabili – ipertensione arteriosa, colesterolo alto, alterazioni del peso corporeo (sia in eccesso che in difetto), diabete e fumo – siano responsabili di circa il 50% dei casi di malattia cardiovascolare. Questo significa che quasi la metà degli eventi cardiovascolari potrebbe essere evitata attraverso una gestione efficace di questi fattori di rischio.
Uno studio pubblicato su The New England Journal of Medicine ha analizzato in modo approfondito oltre 2 milioni di persone adulte, provenienti da 39 Paesi e sei continenti (Global Cardiovascular Risk Consortium et al. N Engl J Med. 2025 Mar 30. doi: 10.1056/NEJMoa2415879). I ricercatori hanno osservato come la presenza o l’assenza dei principali fattori di rischio cardiovascolare influenzi, su scala globale, il rischio di ammalarsi e di morire nel corso della vita. Oltre a questo, lo studio ha voluto anche mettere in luce un aspetto più positivo e concreto, ovvero quanti anni di vita in buona salute si possano potenzialmente guadagnare modificando almeno uno di questi fattori di rischio.
Entrando più nel dettaglio, tra i 2.078.948 partecipanti, la pressione arteriosa sistolica mediana era di circa 129 mmHg, il valore medio di colesterolo non-HDL era pari a 156 mg/dL, e l’indice di massa corporea si attestava su una media di 25,7 kg/mq. Il 7,7% dei soggetti aveva il diabete e il 22,3% risultava essere un fumatore attivo.
È interessante notare che, anche tra le persone che a 50 anni non presentavano alcuno dei cinque principali fattori di rischio cardiovascolare, il pericolo non era del tutto annullato: il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare nel corso della vita restava infatti pari al 13% nelle donne e al 21% negli uomini. Al contrario, tra coloro che presentavano tutti e cinque i fattori, le probabilità aumentavano in modo significativo, raggiungendo il 24% nelle donne e il 38% negli uomini. Anche il rischio di morte per qualsiasi causa mostrava un divario marcato: tra i 50 e i 90 anni, si passava da un rischio del 53% nelle donne e del 68% negli uomini (tra chi era privo di fattori di rischio) fino all’88% per le donne e al 94% per gli uomini che li presentavano tutti.
Quanto vale un cambiamento?
L’assenza di tutti e cinque i fattori di rischio all’età di 50 anni si associava a una maggiore aspettativa di vita senza patologie cardiovascolari: fino a 13,3 anni in più per le donne e 10,6 anni per gli uomini, rispetto a chi li presentava tutti e cinque. Considerando anche la mortalità complessiva, il guadagno stimato in anni di vita aggiuntivi saliva a 14,5 anni per le donne e 11,8 anni per gli uomini.
L’assenza di tutti e cinque i fattori di rischio all’età di 50 anni si associa a una maggiore aspettativa di vita senza patologie cardiovascolari: fino a 13,3 anni in più per le donne e 10,6 anni per gli uomini, rispetto a chi li presenta tutti e cinque.
Per comprendere meglio questi dati, immaginiamo due persone: Anna e Paolo. Entrambi hanno 50 anni. Anna non fuma, non è diabetica, ha la pressione sotto controllo, il colesterolo nella norma e un peso equilibrato. Paolo, invece, è diabetico e ha la pressione alta, fuma, ha un BMI sopra i 35 kg/mq e i livelli di colesterolo molto elevati. Secondo questo studio, Anna potrebbe guadagnare fino a 13 anni di vita in più senza malattie cardiovascolari rispetto a Paolo, e vivere circa 14 anni in più complessivamente. Una differenza che non passa inosservata.
Un altro dato interessante dello studio riguarda l’impatto dei singoli fattori di rischio. Per esempio, l’assenza di diabete è risultata associata a un guadagno di circa 4,7 anni di vita senza malattie cardiovascolari nelle donne e 4,2 anni negli uomini. Evitare il fumo ha avuto un impatto ancora maggiore: 5,5 anni in più per le donne e 4,8 anni per gli uomini. Anche la pressione arteriosa sotto i 130 mmHg può fare la sua parte, garantendo rispettivamente 1,3 e 1,8 anni aggiuntivi di vita in salute.
Guardando invece alla mortalità generale e non solo a quella legata alle patologie cardiovascolari, non avere il diabete ha comportato un guadagno di oltre 6 anni di vita nelle donne e quasi 6 negli uomini. L’assenza di fumo è stata altrettanto significativa, con un vantaggio simile.
In assenza di patologie cardiovascolari pregresse, puntare a valori eccessivamente bassi di colesterolo non-HDL potrebbe non offrire benefici, con vantaggi moderati solo sotto i 190 mg/dL.
Il quadro si fa più sfumato quando si prende in considerazione il colesterolo. Lo studio ha evidenziato che livelli di colesterolo non-HDL inferiori a 130 mg/dL non sono sempre associati a una maggiore aspettativa di vita nei soggetti sani, cioè in chi non ha mai avuto eventi cardiovascolari. In alcuni casi, si è osservata perfino una lieve riduzione della durata della vita. Tuttavia, adottando un approccio più personalizzato che tiene conto delle differenze tra le varie aree geografiche, emerge che un livello di colesterolo non-HDL sotto i 190 mg/dL si associa invece a un modesto guadagno in anni di vita in buona salute: circa 0,4 anni per le donne e 0,2 per gli uomini. Questo dato suggerisce che, in assenza di patologie cardiovascolari pregresse, puntare a valori eccessivamente bassi potrebbe non portare benefici, e in alcuni casi potrebbe addirittura essere controproducente.
Anche il peso corporeo gioca un ruolo importante. L’assenza di sottopeso, sovrappeso o obesità era associata a un guadagno relativamente contenuto in termini di anni di vita: circa 0,6 anni nelle donne e appena 0,1 negli uomini. Tuttavia, la differenza diventava molto più significativa nei casi di obesità severa (con un BMI pari o superiore a 35). In questi soggetti, riportare il peso al di sotto di questa soglia si traduceva in un vantaggio concreto: fino a 2,4 anni di vita in più senza malattie cardiovascolari, e un incremento ancora maggiore della sopravvivenza complessiva, con 2,6 anni in più per le donne e 3,3 per gli uomini. In questo scenario, il controllo del peso sembra avere un impatto particolarmente rilevante negli uomini, un dato interessante anche per orientare meglio gli interventi di prevenzione personalizzata.
Per concludere, è importante sottolineare che il rapporto tra colesterolo non-HDL, indice di massa corporea (BMI) e rischio cardiovascolare non è lineare. In altre parole, sia valori troppo alti che troppo bassi possono essere associati a un rischio aumentato, seguendo un andamento “a J” o “a U”, come descritto dai ricercatori. Questo rende più difficile stabilire un valore ottimale valido per tutti. Facciamo un esempio: una persona con colesterolo molto basso ma in stato di denutrizione potrebbe avere un rischio maggiore di altri problemi di salute, così come una persona con un BMI leggermente alto ma in buona forma fisica e senza altri fattori di rischio potrebbe non avere un rischio cardiovascolare così elevato. Inoltre, il legame tra obesità, diabete e ipertensione è molto stretto e questi fattori spesso si influenzano a vicenda, rendendo complessa la valutazione dell’impatto specifico del solo peso corporeo sul rischio cardiovascolare.
Correggere anche solo uno dei fattori di rischio tra i 55 e i 60 anni può portare benefici significativi: i risultati migliori si sono ottenuti con la cessazione del fumo, il controllo della pressione e del diabete, dimostrando che non è mai troppo tardi per intervenire.
Quando tutti i fattori di rischio erano presenti tra i 50 e i 55 anni, e uno o più di essi venivano corretti tra i 55 e i 60 anni, le differenze stimate in termini di anni di vita tra chi aveva modificato il proprio profilo di rischio e chi invece non lo aveva fatto risultavano significative. I dati emersi sono molto positivi: intervenire in quella finestra temporale ha prodotto benefici concreti. Tra tutti, la correzione dell’ipertensione si è dimostrata la più efficace nel favorire una maggiore aspettativa di vita libera da malattie cardiovascolari. Per quanto riguarda invece la sopravvivenza complessiva, l’impatto maggiore è stato osservato nella cessazione del fumo, seguita da vicino dalla gestione della pressione arteriosa e, subito dopo, dal controllo del diabete. Anche un intervento che avviene in una fase apparentemente tardiva può quindi offrire risultati tangibili, a conferma del fatto che non è mai troppo tardi per iniziare a prendersi cura della propria salute.
Questo studio rafforza un concetto fondamentale: la prevenzione non è un’astrazione teorica né un obbligo calato dall’alto, ma una scelta concreta, accessibile e su misura. Agire sui fattori di rischio cardiovascolare – anche solo su uno – può portare a risultati misurabili e significativi, sia in termini di aspettativa di vita, sia di qualità della vita negli anni a venire.
Non serve inseguire la perfezione, né pensare che sia troppo tardi per fare qualcosa. Anche se l’attenzione alla salute non è iniziata a vent’anni, c’è comunque margine di miglioramento. La buona notizia è che non è necessario stravolgere tutto: anche un cambiamento introdotto tra i 55 e i 60 anni può davvero modificare la traiettoria della propria salute futura, con benefici reali e tangibili.
I dati emersi dallo studio mandano un messaggio forte e incoraggiante: la prevenzione funziona, anche quando arriva più tardi di quanto avremmo voluto. Ogni giorno, con le nostre scelte, abbiamo il potere di influenzare positivamente il nostro futuro. Un’alimentazione equilibrata, l’attività fisica regolare, la gestione della pressione arteriosa, la sospensione del fumo, il controllo del peso e dei livelli di zucchero nel sangue non sono semplici buone abitudini: sono strumenti concreti per guadagnare anni preziosi di vita e, soprattutto, per viverli meglio.